No dell’Oms all’idrossiclorochina contro il Covid. Irst di Meldola: “continuare la sperimentazione, ecco perchè”

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A fronte della posizione espressa dall’Organismo Mondiale della Sanità che intende bloccare precauzionalmente l’utilizzo dell’idrossiclorochina per il trattamento delle infezioni da Coronavirus e all’articolo recentemente pubblicato sulla rivista The Lancet portato a supporto di tale indicazione, l’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) IRCCS – promotore dello studio totalmente no-profit e privo di sponsorizzazioni “PROTECT” per l’utilizzo a scopo profilattico di questo farmaco – nella persona del Prof. Giovanni Martinelli (Direttore Scientifico) e della Dr.ssa Oriana Nanni (Direttore Unità di biostatistica e sperimentazioni cliniche) precisa le sue posizioni.

“L’emergenza COVID ha richiesto l’uso di farmaci, già usati per altre malattie, nonostante le scarse evidenze scientifiche sulla loro efficacia e sicurezza per la patologia specifica – spiegano dall’istituto -. In tale contesto epidemiologico la Food and Drug Administration USA e le corrispettive autorità competenti europee e italiane hanno approvato tali farmaci. Al di fuori dell’emergenza non sarebbe stato possibile somministrare farmaci la cui efficacia non fosse basata su evidenze scientifiche valide. Il percorso metodologico per valutare un nuovo farmaco ha regole ben consolidate: solo studi clinici di grandi dimensioni, controllati e ben progettati, sono in grado di generare prove solide, necessarie durante il processo decisionale, per la sicurezza e l’efficacia delle possibili terapie per qualsiasi malattia, anche per il COVID”.

“Tali studi – aggiungono – prevedono autorizzazioni delle autorità competenti e approvazioni da comitati etici (AIFA, Comitato Etico unico dell’Istituto Spallanzani); la loro gestione e il raggiungimento degli obiettivi e le analisi statistiche richiedono tempi che non possono essere più di tanto ridotti. Oggi nel mondo ci sono centinaia di studi sul Covid19 in corso i cui risultati potranno essere pronti solo nel prossimo futuro, compresi gli studi sui vaccini. Lo studio pubblicato su The Lancet non è una sperimentazione clinica disegnata per valutare l’efficacia e la sicurezza dell’idrossiclorochina o della clorochina usata da sola o in combinazione con antibiotici su pazienti ricoverati in ospedale. È una raccolta di dati, di grandi dimensioni, che ha assemblato dati provenienti dai database, regolarmente alimentati per altri scopi (amministrativi, di gestione economica) di oltre 671 ospedali nel mondo in un periodo che parte da dicembre 2019 e che riguarda pazienti ospedalizzati con diversa gravità dell’infezione. Grande eterogeneità della popolazione inserita, scarsa qualità dei dati, gruppi non comparabili a confronto. Gli autori stessi dichiarano che “i risultati emersi non possono dimostrare una relazione causa-effetto del farmaco sull’eccesso di mortalità o su gli altri esiti negativi di cui sentiamo parlare. Solo studi clinici randomizzati potranno dimostrare il reale valore di tali farmaci”. Perché, dunque, questo risultato ha avuto una tale enfasi? Prima della pandemia una pubblicazione di questo tipo avrebbe provocato tanta ostilità nei confronti di un farmaco?”.

“Per queste ragioni – continuano -, l’OMS ci pare aver sospeso “temporaneamente”, in via precauzionale, gli esperimenti clinici sull’uso dell’idrossiclorochina e clorochina in corso con i suoi partner in diversi Paesi sulla base di evidenze scientifiche non sufficienti. Decisione che, se protratta e confermata, impedirà alla comunità scientifica di capire il reale valore del farmaco. Lo studio dell’IRST, PROTECT – del quale si ricorda il valore totalmente no-profit e per il quale l’Istituto, al solo scopo di conoscenza scientifica, sta operando un ingente investimento economico e di risorse professionali – come altri 50 studi contemporaneamente condotti nel mondo da istituzioni prestigiosi quale quella dell’Università di Oxford, intende valutare con una metodologia corretta e neutrale, il ruolo dell’idrossiclorochina in mono terapia in una popolazione che non ha nulla a che fare con quella analizzata sull’articolo di The Lancet, cioè positivi paucisintomatici e asintomatici per profilassi. Solo a fine sperimentazione potremmo presentare il valore o meno del farmaco – peraltro dal basso costo e dalla lunga storia di tollerabilità – stante che, per il progredire delle scienze, occorre disporre di nuove conoscenze che solo il più rigoroso metodo scientifico può produrre”.

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