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RAVENNA E LA PANDEMIA UN ANNO DOPO / 3 / I tormenti del Covid fra chi dirige le scuole, ne parliamo con Gianluca Dradi, Antonio Grimaldi, Mirco Banzola foto

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La scuola è diventata un simbolo della pandemia. Prima a chiudere i battenti per contrastare il contagio – è a un sms del Comune alle famiglie, in quella famosa domenica 23 febbraio, per  avvertire della chiusura, che facciamo risalire l’inizio dell’era Covid in provincia -, la scuola si è nel tempo trasformata nella battaglia sulla quale il Governo (quello precedente, il Conte bis) si è giocato molto della propria credibilità. A settembre bisognava riaprire, si potrebbe dire “whatever it takes”, per parafrasare l’attuale presidente del Consiglio Draghi. Poi sappiamo com’è andata. Ma nel frattempo, da quella iniziale chiusura ad oggi, come è stata vissuta e si sta vivendo la pandemia nel mondo della scuola? Cosa è stato fatto per garantire quella riapertura in sicurezza e cosa ricordano di quei frenetici iniziali momenti alcuni dei protagonisti ravennati del mondo della scuola? Cosa si aspettano per il futuro? Abbiamo cercato di capirlo attraverso il parere del dirigente dell’Itis di Ravenna, Antonio Grimaldi, del Liceo scientifico Oriani, Gianluca Dradi e dell’Istituto comprensivo Randi, Mirco Banzola.

Torniamo a quando tutto è iniziato, quegli ultimi giorni di febbraio 2020. Cosa ricorda e che cosa si aspettava, quando l’emergenza è scoppiata anche a Ravenna?

“Un anno fa sembra un mondo lontano e i ricordi si accavallano con le interpretazioni successive – esordisce Grimaldi -. In quel momento si pensava ad una situazione temporanea, chiudere tutto non sembrava praticabile. Poi abbiamo riaperto, le cose sono andate in un certo modo e forse non ci si aspettava questa ulteriore chiusura, questa seconda parte dell’anno in cui i ragazzi sono nuovamente costretti a rimanere a casa”.

Opinione condivisa anche da Dradi, che ricorda: “Nessuno ovviamente si aspettava una crisi così grave e così lunga. La nostra Regione fu tra le primissime ad adottare un provvedimento di chiusura delle scuole, inizialmente sino al 1° marzo. La situazione presto si allargò poi all’intero territorio nazionale ed iniziò la lunga sequenza di DPCM che, nella prima fase, disponevano la sospensione delle lezioni in presenza di settimana in settimana, perché eravamo convinti che subito dopo Pasqua si sarebbe tutti potuti rientrare”.

“Ricordo una domenica febbrile, con chat cariche di messaggi – dice Banzola riavvolgendo il nastro -, nella quale si sapeva che sarebbe uscita un’ordinanza della Regione per annunciare la chiusura delle scuole, ma non si sapeva quando. Appena ebbi in mano il documento io e il mio staff ci prodigammo per informare le famiglie. Già nei giorni successivi, questa chiusura assunse dei connotati particolari, perché non si capiva bene dove saremmo andati a finire, ma era chiaro che bisognava cominciare a muoverci per attivare forme di didattica a distanza, che ancora non si chiamavano così ed erano solo compiti e attività assegnati per rimanere in contatto con i ragazzi”.

Si può dire che a regnare fosse un clima di incertezza. Ma per la scuola si è fatto tutto il possibile?

“Tutti noi coinvolti in prima linea – commenta Grimaldi -, dirigenti, insegnanti, personale della scuola in generale, fin da subito abbiamo reagito gettandoci a capofitto nella ricerca di soluzioni ai problemi che avanzavano. La tensione maggiore era rivolta a sfruttare tutte le tecnologie disponibili per chiudere al meglio l’anno scolastico, nella speranza che l’estate avrebbe ridimensionato tutto. Come poi è stato solo per un breve periodo”.

“Diciamo che ad aprile – spiega dal suo punto di vista Dradi – cominciammo tutti a capire che la situazione era lunga e complicata. Iniziò a serpeggiare un certo scetticismo, ci pareva poco verosimile riuscire a tornare a scuola per chiudere l’anno in presenza: i dati sui contagi e sui morti erano già agghiaccianti e non si vedevano indici di miglioramento. Io penso che già a fine aprile il governo potesse avere gli elementi per prevedere che l’anno si sarebbe concluso a distanza e, stante anche quanto veniva affermato da molti virologi ed epidemiologi, fu un errore non considerare l’alto rischio che anche il successivo anno scolastico sarebbe stato funestato dal virus, come poi è successo. Da maggio in poi si sarebbe potuto e dovuto realizzare un piano di interventi urgenti sull’edilizia scolastica, per aggiungere spazi e, soprattutto, modificare la norma che ancor oggi impone la costituzione di classi numerose; invece si è pensato di risolvere il problema con la regola del distanziamento interpersonale di un metro, e la fornitura di gel e mascherine, con la conseguenza che ad un anno di distanza la scuola non ha mai veramente potuto riprendere la sua attività stabilmente in presenza”.

Studente Covid

Tirando le somme, di questa esperienza che giudizio darebbe?

“Di certo è stata un’esperienza negativa per la scuola – dice il dirigente dell’Itis Antonio Grimaldi – , della quale avrei fatto volentieri a meno. Come da ogni esperienza negativa, però, qualcosa di buono si può  trarre: per esempio abbiamo imparato ad utilizzare al meglio le tecnologie e ora che questo è diventato parte integrante della capacità didattica dei docenti, è una competenza che sfrutteremo anche dopo il ritorno alla normalità. E poi resterà l’attenzione all’igiene: noi i distributori di gel non li smonteremo mica, resteranno a disposizione. Soprattutto, però, mi resterà l’idea che ci ha guidati fin qui: quella di sforzarsi per migliorare progressivamente la situazione, cercando di fare in modo che i ragazzi possano trarre comunque il massimo dalla situazione esistente”.

“Il giudizio alla fine è positivo perché la quasi totalità della scuola ha messo in campo le migliori energie, non mi sono mai sentito solo e questo fa la differenza, quando devi prendere decisioni impattanti. La paura di sbagliare c’era e l’abbiamo superata restando uniti e prendendo atto del fatto che era impossibile non sbagliare, bisognava solo fare del nostro meglio. Ci siamo dovuti inventare un modo di lavorare che dalla precarietà dei primi tempi ha man mano assunto i connotati della stabilità – commenta Mirco Banzola che dirige un istituto di primo ciclo, con elementari e medie -. Avanzando per prove ed errori. Per esempio, nei primi tempi miravamo al rientro in presenza per cominciare le valutazioni, i compiti in classe, le interrogazioni. Poi ci siamo rassegnati a farli a distanza. All’inizio ci chiedevamo se fosse corretto introdurci così massicciamente nella sfera privata delle famiglie, perché la Dad arriva nel salotto di casa, sul tavolo della cucina e anche l’idea di costringere i bambini a tante ore davanti al pc, quando abbiamo sempre insistito su un uso moderato della tecnologia è una contraddizione con la quale abbiamo dovuto imparare a scendere a patti. È stato un esercizio continuo di assestamento e rimessa in discussione di quel che si faceva. La mia fortuna è stata avere una comunità scolastica molto unita e collaborativa.”.

“Per tutte le scuole – afferma il dirigente del Liceo scientifico Gianluca Dradi – la pandemia è stata una fase di sperimentazione generosa, un bell’esempio di amore per il proprio lavoro, di creatività nel mantenere il rapporto educativo con gli alunni e di solidarietà nei confronti degli studenti che non avevano strumenti, ai quali, prima ancora che lo indicasse il Ministero, le scuole si attivarono per dare in prestito personal computer. Dopo le incertezze del periodo iniziale, il Ministero in estate si è attivato per disciplinare la didattica digitale integrata e oggi ci sono più regole e meno iniziative spontanee delle singole scuole. In compenso, però, mi sembra di notare una certa stanchezza, sia da parte degli studenti che dei docenti, il tutto aggravato da un troppo frequente alternarsi tra didattica a distanza e momenti di presenza, a loro volta variamente modulati (al 25%, al 50% al 75%): il dialogo educativo ha bisogno di stabilità nei tempi lunghi, perché ogni diverso assetto organizzativo comporta un modo diverso di programmare le attività didattiche”.

“Ed infine – chiosa Dradi – non va bene l’incertezza sulle scadenze imminenti: ad esempio ancor oggi non sappiamo come sarà il prossimo esame di stato; peraltro la situazione è chiara: il virus circola ancora e anzi si aggrava per via delle varianti; dunque non capisco questa indecisione, non certo addebitabile al nuovo Ministro, sulle prospettive da qui a giugno: a mio parere l’esame dovrebbe essere organizzato come lo scorso anno”.

Guardando al futuro, che cosa si aspetta?

“Personalmente – chiude Grimaldi – ho un approccio fiducioso alle cose, quindi ritengo che con mascherine, igiene delle mani e distanziamento prima, poi con i vaccini che stanno arrivando, la situazione non possa che migliorare. Il timore è che possa saltar fuori qualche altro virus, perché così come è arrivato il “Corona” può arrivarne anche un altro. Dovremo fare tesoro dell’esperienza pregressa e tutelarci al meglio. Poi spero che da qui alla fine dell’anno si possa arrivare ad una presenza più assidua dei ragazzi a scuola, oltre questo limite del 50%”.

“Guardiamo al futuro attraverso l’esperienza fatta in questo periodo – afferma Banzola -: se siamo riusciti ad arrivare fin qui vogliamo guardare in modo positivo anche al domani. Lavoriamo cercando di fare del nostro meglio. Proprio in queste ore siamo impegnati con l’Ufficio scolastico per la costruzione del prossimo anno scolastico, cercando di prevedere diversi scenari possibili per non farci trovare impreparati, anche perché non sappiamo quali saranno le norme che vigeranno a settembre”.

“Ovviamente – conclude Dradi – ci aspettiamo molto dalla vaccinazione e semmai siamo preoccupati dell’insufficienza dei vaccini, che determina un ritmo troppo lento del processo verso l’immunizzazione di gregge. Altra nota di speranza viene dal nuovo titolare del dicastero dell’Istruzione; è una persona di grande competenza, che durante l’estate scorsa coordinò un importante lavoro di formulazione di idee e proposte per la riapertura. Tra esse vi sono interessanti proposte sull’innovazione degli ambienti di apprendimento (anche dal punto di vista edilizio), sulla formazione del personale, sulla necessità di aumento dell’organico e di riduzione della numerosità degli studenti per classe, sull’innovazione dei curricoli. Speriamo sia giunto il momento di darvi attuazione”.

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