Donne di scienza: è romagnola la ricercatrice a capo del progetto Foodoma di Boston che studia il cibo come se fosse una medicina

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Dallo smisurato amore per i numeri, fin da quando stava sui banchi del liceo scientifico di Ravenna, è nata la brillante carriera di Giulia Menichetti, 35 anni, laureata in Fisica a Bologna e ricercatrice alla Harvard Medical School e Northeastern University di Boston.

Attualmente è a capo di un ambizioso progetto di ricerca, Foodoma, che studia il cibo e le sue interazioni con il DNA umano, trattandolo come se fosse una medicina, per arrivare a predire la dieta adatta ad ogni persona, per evitare malattie come cancro, invecchiamento precoce, disturbi del sistema cardiovascolare e molto altro.

LO STUDIO E IL LAVORO

“Tutto è partito dall’incontro con la scienza delle reti, nelle aule universitarie a Bologna – afferma Menichetti -. All’epoca, era l’inizio del 2009, si parlava soprattutto di internet, ma si è presto capito che il discorso era estendibile ad ogni ambito, anche a quello del cibo, come avviene col progetto Foodoma”.

Dopo aver conosciuto questi studi all’Università, si è trasferita per la prima volta negli USA nel 2010 per concludere la tesi di master. Lì, le è stato offerto un dottorato, che ha svolto tra Bologna e l’università Queen Mary di Londra, per poi tornare in America, dove nel 2016 è stata selezionata per un posto al Network Science Institute di Boston, fondato e diretto da Alessandro Vespignani, l’illustre fisico italo americano reso celebre al grande pubblico dalle numerose interviste su Covid e vaccini, rese a Piazza Pulita di Corrado Formigli.

“Il mio lavoro si svolge principalmente al fianco di colui che viene considerato il padre della scienza delle reti, Albert-László Barabási, uno studioso ungherese americano, le cui ricerche approfondiscono la capacità di predire lo sviluppo di sistemi complessi, da quelli sociali a quelli biologici”, spiega la ricercatrice.

IL PROGETTO FOODOMA

“La mia area specifica – aggiunge – è lo studio delle componenti di base dei cibi che ingeriamo, per capire come interagiscano tra loro e con il nostro DNA, creando una rete specifica per ogni individuo, regolandone la salute. Diventa così possibile predire per ognuno quale sia la dieta ideale per mantenersi sani. Un discorso analogo lo si può fare per i farmaci, dei quali però conosciamo nel dettaglio tipo e quantità degli elementi che li compongono. La sfida è trasferire la stessa conoscenza sui cibi ed è di questo che si occupa Foodoma”.

La prospettiva futura è quella di trasformare la scienza dell’alimentazione in una scienza esatta ed individualizzata. Per ora, gli studi in corso hanno permesso di capire che i cibi sono composti di numerosissime componenti, in minima parte conosciute, ma ognuna con una capacità di incidere sul nostro stato di salute, quando si combinano con i nostri Geni. Studiarli tutti, per ogni tipologia di cibo presente sulla Terra potrebbe essere un’impresa titanica e per abbreviare i tempi ai ricercatori viene in aiuto anche l’intelligenza artificiale.

Per cogliere la portata del progetto, basti pensare che circa un 20% delle cause di morte negli Stati Uniti sono riferibili a cause genetiche, mentre il restante 80% è imputabile a non meglio identificate “cause ambientali”, che per la maggioranza riguardano ciò che mangiamo.

Questo genere di studi ha colpito anche l’interesse di alcuni governi, interessati a capire come poter influenzare le scelte alimentari dei propri cittadini per incidere sul loro stato di salute e sui costi di welfare sanitario: è evidente infatti che se l’alimentazione scorretta provoca malattie, queste poi devono essere prese in carico dai sistemi sanitari dei Paesi, con ingenti spese per ospedalizzazioni e quant’altro. Un discorso che negli Stati Uniti fa meno presa, per via della residualità del sistema di welfare, ma che interessa molto di più gli stati europei, dove esistono sistemi sanitari pubblici.

È il caso della Gran Bretagna, che ha coinvolto anche gli studiosi di Boston e l’équipe guidata da Menichetti, in uno studio complessivo sull’alimentazione dei sudditi della Regina.

IL CIBO ULTRA PROCESSATO

“Anche se per conoscere in dettaglio i cibi ci vorrà tempo – spiega Menichetti -, dalle ricerche in corso emerge un dato incontrovertibile: il cibo ultraprocessato è correlato all’insorgere di molteplici malattie”.

Un dato che non sorprenderà i più, ma che trova evidenza nelle ricerche più attuali. “Analizzando le popolazioni più longeve del mondo, ci si è accorti che sono nicchie presenti ai quattro angoli del Pianeta – commenta Menichetti -, dal Giappone, alla Scandinavia, alla nostra stessa Sardegna. Ovviamente seguono diete diversissime, alcune altamente proteiche e basate su proteine animali, altre nettamente più spostate sul fronte vegetariano e sull’uso dei cereali integrali e legumi. Ciò che però tutte hanno in comune è l’utilizzo di materie prime poco o nulla lavorate ed è questa la chiave di volta per restare in salute, ammalarsi meno e invecchiare più lentamente”.

Negli Stati Uniti la dieta quotidiana è largamente basata su cibi altamente processati, cioè cibi raffinati, prodotti dall’industria alimentare, fortificati con vitamine e minerali: spesso cibi pronti per il consumo, solo da riscaldare. E anche in Italia, nonostante ci sia una cultura alimentare molto diversa, complici i frenetici tempi di vita imposti dal lavoro e dal mercato globale, si stanno diffondendo sempre più insistentemente.

“In maniera simile ad altre specie – spiega Menichetti – gli esseri umani contemporanei sono geneticamente adattati all’ambiente dei loro antenati, ovvero l’ambiente a cui essi sono sopravvissuti e che ha condizionato il loro profilo genetico. Ciò che è radicalmente cambiato è proprio il cibo che mangiamo e lo stile di vita che conduciamo. Per fare un esempio, è come se nel serbatoio di una macchina che funziona a benzina mettessimo un altro carburante, magari anche in quantità esorbitante. In un qualche modo il motore cerca di funzionare lo stesso, ma di certo lo farà male. Il cibo ultra processato è un cocktail di componenti chimiche che il nostro corpo non è geneticamente programmato per tollerare”.

CAMBIARE LE ABITUDINI ALIMENTARI PER STARE IN SALUTE

Ma come si può passare da questi utilissimi dati scientifici a dei cambiamenti di massa, che producano più salute per tutti?

“Partiamo dal presupposto che per incidere su questi temi a livello globale non si può contare sul contributo individuale – spiega la ricercatrice -: le persone tendono a mantenere le abitudini acquisite. Si è calcolato che ognuno di noi si nutre facendo riferimento a determinati gruppi di alimenti che corrispondono ai propri gusti. Ciò che si può fare è agire su quei gruppi, mantenendoli tali ma promuovendo al loro interno la diffusione di cibi meno processati. I calcoli scientifici fatti in proposito rilevano che, solo con questo cambiamento, ci sarebbero risultati incredibili sullo stato di salute della popolazione”.

Ed è proprio in questa direzione che va uno studio prodotto dalla dott.ssa Menichetti, in collaborazione col suo gruppo di ricerca statunitense, descritto in un articolo attualmente in revisione per Nature: lì, si parla di un algoritmo in grado di calcolare scientificamente quanto un cibo sia processato: “come scienziati, possiamo calcolare scenari di predizione per dare ai decisori politici che fanno le riforme dati certi sui quali impostare le politiche di salute pubblica”.

Quello di Foodoma è un progetto che avrà una durata lunghissima. “Ad agosto saranno 5 anni che lavoro negli Stati Uniti. Attualmente sono senior scientist, leader del mio gruppo, ho un referente che è il prof. Barabasi e un altro ad Harvard, che è il prof. Loscalzo, perché il nostro è un gruppo interdisciplinare e interdipartimentale. Siamo partiti sapendo di affrontare il tema del cibo da una prospettiva assolutamente nuova. Ho dovuto costruire un gruppo da zero, ho studiato tantissimo, è stato per me come un secondo dottorato. Ma è stata ed è un’esperienza bellissima”.

APPROFONDIMENTI

Per approfondire le teorie e gli studi condotti da Menichetti e dalla sua équipe:

https://www.nature.com/articles/s43016-019-0005-1.pdf

https://www.nature.com/articles/s41467-020-19888-2

https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0097857

 

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