Ospedale e medicina territoriale, la sanità che verrà dopo il Covid. Sindaco e medici ne discutono all’Hana-Bi

Più informazioni su

“Succederà domani a Ravenna”, con questo titolo il Partito Democratico ha organizzato una serie di tre incontri di riflessione sul futuro della città dopo la pandemia. E la prima serata si è tenuta ieri sera 13 luglio all’Hana-Bi di Marina di Ravenna. Sul tema della sanità si sono confrontati Michele de Pascale Sindaco di Ravenna, Paolo Tarlazzi Direttore Medico dell’Ospedale di Ravenna, Paolo Bassi Primario del reparto malattie infettive di Ravenna, Roberta Mazzoni Direttrice del Distretto sanitario di Ravenna e Cristina Fabbri dirigente infermieristico AUSL Romagna. Ha coordinato la serata Pier Giorgio Carloni della redazione di questa testata.

Michele de Pascale Sindaco di Ravenna

Sindaco de Pascale quando le cose vanno bene si tende a dare tutto per scontato, quando di scontato non c’è quasi nulla. Di fronte alla pandemia Ravenna finora se l’è cavata molto bene a tutti i livelli, basta dire che è la provincia meno colpita in tutta la regione nel rapporto fra casi di Covid e popolazione. A che cosa si deve questo risultato?

“Rispondere alla domanda è difficile perché attribuire meriti rispetto a quello che abbiamo vissuto potrebbe sembrare un esercizio di arroganza. Da noi la pandemia ha avuto effetti meno pesanti che altrove, sul piano statistico è evidente. Ma ci sono anche qui famiglie che hanno perduto un loro caro, c’è chi ha attraversato l’inferno della malattia. Non dimentichiamoci mai che la tragedia ha colpito anche qui. Comunque, credo ci siamo difesi meglio di altri per due ragioni. Prima ragione: il lavoro straordinario che i professionisti della salute qui hanno messo in campo. Io tutte le sere per un paio di mesi ho trascorso un’ora, un’ora e mezza al telefono con la Direttrice del Dipartimento di salute pubblica Angelini passando in rassegna caso per caso, anche con gli altri Sindaci della provincia. È stato fatto una sorta di lavoro di intelligence sui contagi, sui contatti, sulle quarantene e io sono rimasto colpito per la serietà, scrupolosità e qualità del lavoro messo in campo. Oltre a questo c’è stato poi tutto il lavoro nei reparti dell’ospedale, sul territorio. L’altro elemento positivo che voglio citare riguarda il rapporto che qui da noi esiste fra cittadini e istituzioni. Qui quando le istituzioni mandano un messaggio chiaro i cittadini lo ascoltano e lo rispettano in larghissima parte, anche se magari non lo condividono fino in fondo. Con il Covid era difficile far capire ai Ravennati il rischio che stavamo correndo, perché qui non si vedeva e non si toccava con mano la grave emergenza che c’era altrove, pensiamo solo a Bergamo. Ma poi i Ravennati hanno capito e seguito le regole di protezione nella stragrande maggioranza. Questo senso di responsabilità diffuso è un bene prezioso, un patrimonio che ci fa ben sperare anche per il futuro.”

Con il Covid-19 abbiamo imparato che tagliare per 20 anni la sanità pubblica non è stata una gran scelta… eppure questo è quello che hanno fatto tutti i governi negli ultimi 20 anni. Pensa che abbiamo tutti capito la lezione e che non rifaremo gli stessi errori? Legandomi a questo aggiungo che dal Covid sono emersi due modelli di sanità. Uno, quello lombardo, con una sanità centrata sugli ospedali e in buona parte privatizzata, ha fallito. L’altro, quello dell’Emilia-Romagna ma anche del Veneto, con la medicina sul territorio e con la sanità in gran parte pubblica, ha mostrato di funzionare bene. È più chiaro quindi dove dobbiamo andare in futuro?

“Mai come nei mesi e nelle settimane scorse abbiamo sentito parlare del valore della sanità pubblica e si sono sentite critiche rivolte ai governi del passato che hanno tagliato. Ma tutto questo passa quasi in cavalleria, cioè non ci si ferma a riflettere. Questa è una serata organizzata dal Pd e adesso parlo come esponente del Pd. Bene, il Pd ha governato per molti di questi 20 anni e se non ha dato alla sanità il valore che questa doveva avere, il Pd deve fare mea culpa. Il Pd era in buona compagnia, certo, ma per avere credibilità una forza politica deve riconoscere dove e come ha sbagliato e sapersi correggere. Bisogna riconoscere che dopo la regionalizzazione della sanità, a livello di Governo la sanità è stata ritenuta non una scelta strategica. E i successi delle forze politiche negli ultimi 20 anni si sono concentrati su altre cose: sullo slogan abbassiamo le tasse, sui bonus, sulla sicurezza e la lotta all’immigrazione. Credo che il tema della salute pubblica dovrebbe invece essere una delle priorità per tutti i partiti. Io come Sindaco mi sono tenuto una sola delega: quella della sanità. Vorrei che il cittadino vedesse il mio partito, il Pd, come il partito che mette la salute e la sanità pubblica al centro. Credo sia un tema che deve contraddistinguere una forza di centrosinistra.”

Quali scelte bisogna fare per il futuro?

“Non si può tornare semplicemente all’organizzazione sanitaria pre Covid. E credo che servano anche scelte coraggiose. Il Pronto Soccorso o l’Ospedale sono uguali per tutti. A tutti offrono le stesse prestazioni. A prescindere dal fatto che uno abiti in centro storico o a Sant’Alberto, che sia benestante o no. Per la medicina territoriale non è la stessa cosa. Noi il 3 agosto inauguriamo la Casa della salute di Lido Adriano sanando una situazione di servizi sanitari che lì erano vergognosi quando io sono diventato Sindaco. Adesso finalmente apriamo la Casa della salute e diamo una risposta ai cittadini di quella località. Purtroppo a Marina di Ravenna non riusciamo a fare la stessa cosa. Perché, mentre i medici di medicina generale di Lido Adriano si sono resi disponibili, a Marina di Ravenna invece non riusciamo a partire e a ottenere questa disponibilità. Questa cosa deve finire. Non è possibile che i cittadini di Marina di Ravenna possano avere la Casa della salute solo se sono d’accordo i medici di medicina generale. La qualità del servizio che si offre al cittadino non può essere affidata alla volontarietà del singolo professionista di associarsi. Serve un meccanismo che renda possibile creare le Case della salute a prescindere da questa volontarietà, dove non c’è la volontà di associarsi la Casa della salute si fa con il personale dell’Ausl Romagna. È una questione democratica: in un servizio universale non è pensabile che ci sia un trattamento così diverso fra cittadino e cittadino. Un altro grande problema è quello della carenza di medici e infermieri: si è sbagliato nella pianificazione del personale e nelle facoltà mediche, per cui si sono creati e si creeranno buchi nella sanità, soprattutto pubblica. Bisogna intervenire subito.”

Da questo punto di vista che significherà per Ravenna la facoltà di medicina e chirurgia?

“Qui siamo partiti e prima che arrivasse il Covid – ci tengo a dirlo con una punta di orgoglio – abbiamo scelto di mettere al centro del progetto di sviluppo della città anche il tema della formazione medica, con 150 studenti che verranno qui a studiare medicina e chirurgia e diventeranno medici a Ravenna. A settembre avremo qui per la prima volta 150 ragazzi e ragazze da tutta Italia. È un simbolo, un segno concreto e tangibile della rinascita, della sanità nuova che vogliamo. Già in Romagna formiamo da anni professionisti in campo infermieristico, adesso cominceremo anche a formare i medici del futuro.”

Le scelte annunciate dalla Regione Emilia-Romagna recentemente – con un piano da 180 milioni per riorganizzare l’assistenza ospedaliera – vanno nella direzione giusta secondo lei?

“In tutta la vicenda del Covid la Regione Emilia-Romagna ha giocato un ruolo da gigante per superare egoismi e campanilismi regionali e ne sono testimone, avendo seguito i vari tavoli nazionali come Presidente dell’UPI. Ora credo che il progetto messo in campo dalla Regione in materia di sanità pubblica – con la possibilità anche di utilizzare le ingenti risorse che arrivano dall’Europa – in continuità anche con quello fatto in passato sia la scelta giusta da fare.”

Paolo Bassi

Paolo Bassi Primario del reparto malattie infettive di Ravenna

Dottor Bassi, cerchiamo di chiarire alcune cose su questo Covid-19 perché oggi le cose – paradossalmente – sono meno chiare di ieri. Da quando virologi, scienziati, ricercatori si sono messi a litigare fra loro noi non ci capiamo più nulla. Il virus di oggi è come quello di ieri o è mutato? È meno virulento perché lo conosciamo di più e lo contrastiamo meglio o perché ha perso forza? Quanto dobbiamo preoccuparci e proteggerci oggi, qui e ora?

“Non ci sono evidenze scientifiche che il virus sia cambiato. Il virus è sempre quello. Si è ridotto il numero dei casi grazie alle politiche di tutela della salute pubblica messe in campo dal Governo e dalla Regione, e si è affinata molto la capacità di intervenire con tempismo da parte di noi operatori sanitari. Qui fra di noi potrebbe anche esserci un asintomatico, ma il distanziamento sociale, l’uso della mascherina, l’attenzione che abbiamo rispetto a situazioni di rischio che ormai tutti conosciamo, tutto questo mi rende fiducioso rispetto al futuro, cioè a una recrudescenza nella diffusione dell’epidemia.”

Ma di fronte agli assembramenti che vediamo su tv, giornali e social lei che reazione ha? Cosa prova e cosa pensa?

“Quando vedi i ragazzini che si trovano e hanno voglia di darsi un bacio che cosa vuoi pensare?! C’è ed è comprensibile il desiderio di tornare a vivere e a respirare. Naturalmente dobbiamo continuare a dire che usino la testa, che siano cauti.”

Lei non è un talebano, quindi?

“No. Come si fa a essere talebani! L’importante è sapere che comunque possiamo correre dei rischi e dobbiamo proteggerci nelle situazioni di rischio, soprattutto indossando la mascherina. Perché il virus non si diffonde per via aerea ma attraverso le droplets, le goccioline della nostra saliva che devono arrivare a contatto con le mucose dell’altro, per cui se uno sta a distanza, porta la mascherina, si igienizza le mani senza toccarsi naso, bocca, occhi fa le cose giuste da fare. Io sono stato per due mesi e mezzo fra persone infette, sono stato attento, ho usato le precauzioni, e non mi sono preso niente.”

La domanda è d’obbligo: ci dobbiamo aspettare la seconda ondata in autunno?

“Secondo me non capiterà più un casino come nei mesi scorsi, quando siamo stati colti di sorpresa. Abbiamo imparato a proteggerci. Sappiamo individuare meglio i sintomi. Abbiamo imparato a trattare i pazienti. I test sono sempre più veloci e affidabili. Quindi è più facile monitorare la presenza da una parte del virus e dall’altra parte delle difese della popolazione, in tempo reale. Quando ci sono casi si interviene subito come è accaduto recentemente con i lavoratori rientrati dall’estero. Quindi, nel complesso, io sono ottimista.”

Roberta Mazzoni Direttrice del Distretto sanitario di Ravenna

Dottoressa Mazzoni, lei mi ha autorizzato prima a farle una domanda personale. Dunque gliela faccio. Ci racconti la sua storia, perché lei è passata attraverso l’esperienza del Covid.

“Sì. Io l’ho vissuta questa esperienza insieme a mio marito, che fa il medico in un ospedale lombardo a pochi chilometri da Codogno. Un giorno è tornato a casa con i sintomi del Covid: per fortuna abbiamo una casa abbastanza grande, per cui ci siamo subito separati per evitare il contagio. Dopo 4 giorni di febbre piuttosto alta che non passava, lui è stato ricoverato in Ospedale a Ravenna e qui dopo alcuni giorni la situazione è peggiorata, mio marito è finito in rianimazione. C’è rimasto per una settimana, poi per fortuna le cose sono andate bene, è guarito e dal 3 giugno è tornato a lavorare. Ma sono state settimane difficili, ed eravamo nella fase più acuta della pandemia anche a Ravenna. Dopo alcuni giorni che mio marito era ricoverato, ho cominciato anch’io ad avere i sintomi del Covid, prima con la febbre, poi per una settimana ho avuto una cefalea incessante, che improvvisamente è scomparsa. Sono andata a letto con la testa che mi martellava e mi sono svegliata che non avevo più nulla. Sono stata fortunata perché sono riuscita presto a negativizzarmi e nel giro di tre settimane tutto si è risolto. Pur avendo vissuto la malattia da privilegiata, per via dei miei contatti con l’Ospedale, posso dire che è una malattia di una cattiveria incredibile dal punto di vista delle relazioni, perché le distrugge, produce una grande solitudine. Si è soli come pazienti perché non si può incontrare nessuno. Si è soli come familiari, perché da una parte si deve stare in quarantena e dall’altra non si possono vedere i nostri cari ammalati. Io e mio marito siamo stati fortunati. Ci sono famiglie purtroppo che hanno perso i loro cari e a loro deve andare il nostro pensiero.”

La medicina territoriale con le Case della Salute, i medici di famiglia… adesso anche le USCA hanno mostrato di essere un modello importante di contrasto alla diffusione della malattia. Quali sono le scelte per implementare questo modello? Le Case della salute saranno estese e potenziate? Le USCA, cioè le unità speciali, resteranno? E i medici di famiglia quando potranno tornare ad esercitare in condizioni normali?

“Il sistema sanitario territoriale a Ravenna ha funzionato bene, ha fatto il suo lavoro. I medici di medicina generale hanno fatto egregiamente ciò che era stato chiesto loro di fare e cioè di segnalare tempestivamente i contatti dei pazienti Covid. E il loro lavoro è stato prezioso anche nella prima fase in cui la carenza di dispositivi era veramente enorme ed era difficile lavorare, anche in Ospedale. Per fortuna a Ravenna non abbiamo avuto casi di medici di medicina generale che si sono ammalati, come invece è accaduto altrove. Poi ha funzionato bene la sanità pubblica, la segnalazione tempestiva, la presa in carico, l’isolamento dei casi sospetti, i contatti, le quarantene, un lavoro puntuale di indagine epidemiologica. Questo lavoro ha pagato. E dove abbiamo Medicina di gruppo e Case della salute questo modello ha funzionato ancora di più. Perché ci sono più figure aggregate in un unico punto in grado di dare più risposte all’utenza. Per questo speriamo che il modello delle Case della salute si estenda sul territorio e il 3 agosto appunto apriremo la nuova Casa della salute di Lido Adriano, che servirà tutta la zona del mare. Speriamo poi di aprire punti di erogazione del servizio anche qui a Marina di Ravenna e a Punta Marina. Il modello della medicina territoriale di Ravenna e dell’Emilia-Romagna – a differenza di quanto è accaduto in Lombardia – ha funzionato e consentito di proteggere l’Ospedale, per riservare all’Ospedale solo i casi più gravi. Una scelta importante è stata quella delle Usca, le Unità speciali che sono intervenute laddove non potevano intervenire i medici di medicina generale nell’assistenza domiciliare alle persone con sintomi lievi o in quarantena.”

Che cosa pensa della proposta “forte” del Sindaco sulle Case della salute?

“Penso abbia ragione. Ma poi toccherà a noi gestire (ride, ndr). Penso che il più grande investimento futuro debba essere fatto nel rafforzamento della medicina territoriale, abbiamo bisogno di un cambio di passo, puntando molto sulla multiprofessionalità e sull’integrazione fra diverse figure, puntando sulle nuove tecnologie e sulla telemedicina, anche per affrontare le patologie croniche. In questo quadro non possiamo immaginare che l’ambulatorio del medico di medicina generale funzioni domani come lo abbiamo pensato 20 anni fa. Purtroppo scontiamo la carenza di medici, anche di medici di medicina generale, non tanto a Ravenna ma per esempio nel Lughese. Dobbiamo lavorare sulle aggregazioni. Dobbiamo convincere sia i cittadini che i sindaci che non è bene avere medici di medicina generale non qualificati o che esercitano in luoghi dove non vogliono andare. Dobbiamo piuttosto creare una rete integrata di servizi che arrivi a tutti i cittadini. Dal trasporto ai pasti a domicilio, dal telesoccorso all’assistenza domiciliare. Servono strumenti nuovi per agganciare le persone, prenderle in carico e accompagnarle.”

Lei voleva fare un appello ai cittadini. Prego.

“Mi raccomando quest’anno aderiamo alla campagna anti-influenzale, la campagna della Regione che inizierà ad ottobre. È molto importante il vaccino non solo per tutte le persone e le categorie a rischio e per gli ultra 65enni. Vacciniamoci, è davvero utile per tutti e aiuta noi che operiamo nella sanità.”

Paolo Tarlazzi

Paolo Tarlazzi Direttore Medico dell’Ospedale di Ravenna

Dottor Tarlazzi come sarà la normalità o meglio la situazione nel prossimo futuro all’Ospedale di Ravenna nel post-Covid… con i 2 possibili scenari: quello auspicabile, senza la seconda ondata, e quello che speriamo di scongiurare, cioè nel caso ci sia una seconda ondata?

“La risposta di gruppo che siamo riusciti a dare all’emergenza Covid a Ravenna ha fatto la differenza. Ha permesso di cambiare profondamente la struttura del nostro Ospedale nel giro di pochi giorni. Nella normalità, per operare cambiamenti di un certo rilievo nelle nostre strutture ci vogliono mesi, di fronte alla pandemia abbiamo cambiato in pochi giorni e siamo stati in grado di dare una risposta efficace. Oggi la fase acuta è passata, ma non siamo alla normalità. E probabilmente – al netto di quello che accadrà con il vaccino anti Covid – la normalità potrebbe non tornare molto presto e forse non tornerà più. Nel senso che non si torna alla situazione di prima, al passato. Serve una nuova organizzazione ospedaliera che non diminuisca la risposta al cittadino ma piuttosto sia una risposta più selettiva, coerente, di qualità. Non bisogna ricorrere troppo alle prestazioni ospedaliere, bisogna farlo quando è proprio necessario. Lo stesso discorso vale per l’accesso al Pronto soccorso. Quella dell’Ospedale deve essere una risposta tarata sulle vere necessità della popolazione, che – mi si passi il termine – nel periodo pre Covid erano un po’ eccessive.”

Liste di attesa più lunghe della media e Pronto soccorso un po’ troppo intasato, queste erano le 2 criticità dell’Ospedale di Ravenna prima del Covid: come ci stiamo muovendo ora per risolverle?

“Per le liste di attesa, prima del Covid eravamo comunque nella norma, in una situazione complessivamente sana e con performance elevate. Il Covid ha bloccato tutto. E adesso lo stesso personale deve fare fronte a tutte le prestazioni ambulatoriali pregresse (circa 250 mila nell’ambito dell’Asl Romagna, ndr). Su questo argomento mi riallaccio a ciò che dicevo prima: abbiamo bisogno di selezionare di più le prestazioni e di dare più qualità. Il mercato della sanità è un mercato particolare che non si satura mai: se tu offri prestazioni, la domanda non viene mai esaudita e finirà per crescere di conseguenza. Le prestazioni devono essere legate a una maggiore appropriatezza della domanda che passa da una riorganizzazione del sistema, da modalità diverse di prescrizione delle prestazioni da parte sia della medicina generale, sia degli specialisti. Le richieste dell’utenza vanno vagliate e filtrate e non debbono necessariamente approdare all’Ospedale. E veniamo al Pronto Soccorso di Ravenna che presenta numeri di accesso spaventosi, con una Medicina interna che è la più grande dell’Emilia-Romagna. Questa è un’anomalia, non può più e non deve essere così. Dobbiamo anche in questo rivedere tutta l’organizzazione per fare in modo che i cittadini si rivolgano al Pronto Soccorso solo quando è necessario. Serve una risposta di sistema affinché i problemi non si scarichino a valle sul Pronto Soccorso e sull’Ospedale. Deve esserci il filtro sul territorio. In Ospedale devono arrivare solo i pazienti acuti.”

Cristina Fabbri

Cristina Fabbri Dirigente infermieristico AUSL Romagna

Dottoressa Fabbri, in questi mesi si è parlato molto degli infermieri eroi. Ora il rischio è che si torni dagli altari alla polvere, cioè alla routine e ai problemi soliti di una categoria che spesso si sente non pienamente valorizzata e ben remunerata. E che lamenta anche enormi carenze di organico in Italia. Qual è lo stato dell’arte nel campo della professione infermieristica a Ravenna?

“Sì, in effetti il rischio è che dopo essere stati considerati degli eroi si venga presto dimenticati. Ed è anche per questo che c’è molto fermento oggi nel mondo infermieristico, anche se io personalmente non condivido tutte le rivendicazioni che vengono fatte. Certo durante l’emergenza Covid gli infermieri c’erano, all’Ospedale, sul territorio, nella sanità pubblica: hanno fatto la loro parte con senso del dovere e con grande professionalità. E durante la pandemia la preoccupazione era fare bene il nostro lavoro ma nello stesso tempo preservare la salute degli infermieri, perché ci sono stati grandi momenti di difficoltà, soprattutto all’inizio.”

Quanti casi di Covid si sono registrati fra il personale infermieristico a Ravenna?

“Circa 150 persone. Si tratta di un numero abbastanza ridotto rispetto alle migliaia di operatori. Purtroppo abbiamo avuto la perdita di una collega Oss a Faenza, una vicenda molto dolorosa. Ma tornando al discorso di prima, voglio ribadire la capacità di reazione di tutto il personale, perché in pochi giorni è stato riorganizzato l’Ospedale di Ravenna e rivoluzionato l’Ospedale di Lugo, dove abbiamo creato un centro dedicato alla gestione dell’emergenza per evitare che tutto gravasse su Ravenna. Tutto questo grazie al lavoro di squadra, in cui gli infermieri hanno fatto la loro parte e hanno saputo mettersi in gioco, acquisendo sul campo competenze specifiche altamente specialistiche come quelle che riguardano le malattie infettive. Una cosa non semplice e non scontata.”

Più informazioni su